Si è scelto di continuare, che tradotto vuol dire decidere di non decidere. Non prendendosi responsabilità, nella vita si finisce per caricarne altre col rischio di esserne schiacciati col tempo sotto un peso insostenibile. Tant’è, Desert Storm va avanti. Penultimo posto in classifica con 13 punti in 21 partite, 44 gol subiti, 18 fatti, sono le cifre dello Storm che sta travolgendo il Verona, abbandonato al proprio destino nel Desert dal nefasto minuto 60’ di domenica scorsa quando il popolo spazientito e sfuduciato ha abbandonato le gradinate. Mai in tanti anni avevamo assistito ad un gesto di protesta dal simile impatto, nemmeno ai tempi (e fondi) neri della Invest, quando il Verona conobbe l’onta del fallimento grazie alle imprese della banda Uzzo. Quella di domenica pomeriggio è una ferita al cuore e alla memoria che nessun cicatrizzante riuscirà a rimarginare.

Uno per la verità ci sarebbe anche stato, ma l’esonero di Fabio Pecchia non è stato giudicato un rimedio efficace. Tanto rumore per nulla, allora: al termine di una giornata convulsa e condita di voci e controvoci di ogni genere, l’allenatore rimane al suo posto. Almeno fino alla trasferta di Firenze e alla fine della sessione di mercato. Poi si vedrà. Il calendario che attende il Verona non incoraggia certo l’ottimismo.  Fosse ancora in vita, faticherebbe a estrarne pillole persino la buonanima di Tonino Guerra. Apparteniamo, con una percentuale che con il Rosatellum rimarrebbe fuori da Montecitorio, a quei pochi che a Fabio Pecchia vogliono bene. Lo diciamo senza ironie e in totale sincerità.  Più volte abbiamo ne abbiamo tessuto le lodi di serio professionista, duro lavoratore, persona educata e colta. Garbato nei modi, moderno nelle idee, un uomo di un calcio vecchio stampo che in panchina va senza vessilli e non si erge a Masaniello capopopolo sotto le curve. Uno che terminato il lavoro al campo, se ne torna a casa a masticare pallone al video e starsene in famiglia. I risultati, che nel calcio sono l’unica cosa che conta, non sono dalla sua e indicano una bocciatura, che seppur tra mille attenuanti, rimane pur sempre una bocciatura. Umanamente e, perché no, pure professionalmente (inciderà sul curriculum) ci auguravamo che il suo calvario sulla panchina del Verona fosse arrivato ai titoli di coda.

Accolto un anno e mezzo fa tra scetticismo e sfottò, Pecchia ha stupito nei primi due mesi offrendo un calcio spumeggiante  impreziosito dai risultati. Poi sono arrivati i due tonfi con Novara e Cittadella, e le cose sono cambiate.  Mai amato, sui  carboni ci stava dal primo giorno, ma quelle due sciagurate partite hanno acceso di fatto la Diavolina. Da lì, nemmeno la promozione lo ha tenuto al riparo da braci fattesi giorno dopo giorno sempre più ardenti. Vedere una persona cucinata al fuoco lento della pubblica gogna e del mediatico dileggio non è un belvedere, ma anzi rappresenta un triste spettacolo al quale avremmo preferito non assistere o che perlomeno speravamo tanto finisse. Per questo domenica sera confidavamo, se non nelle sue dimissioni (lui è ancora convinto di potercela fare), nel suo esonero. Non è arrivato né l’uno né l’altro. Il supplizio di Desert Storm continua, e ci dispiace. Lasciateci dire soprattutto per il Verona, ovvio, ma anche per lui. 

Sezione: Editoriale / Data: Mar 23 gennaio 2018 alle 16:27
Autore: Lorenzo Fabiano
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