A Natale mancano ancora due settimane, ma il Verona sa essere così generoso da impacchettare con largo anticipo un bel regalo sotto l’albero di Ferrara, dove la Spal trova infiocchettato un insperato punticino d’oro. Tanta generosità non pare però essere apprezzata dalla tifoseria scaligera che in queste ore esprime tutto il proprio disappunto a rullo di tastiera.

Non vediamo come dargli torto. Se non si riesce a portare a casa partite già praticamente vinte come quella del Mazza, la faccenda si fa davvero seria.  Per almeno ottanta minuti è stato un buon Verona, discreto nel primo tempo, molto più determinato e convincente per due terzi della ripresa. Negli ultimi dieci minuti è andato in scena il misfatto: con i tre punti ormai in cassaforte, la squadra è andata letteralmente in cortocircuito. Complice l’imperdonabile rilassamento di un avversario con la testa già negli spogliatoi, nel finale la Spal ha fatto tutto ciò che non le era riuscito di mettere insieme per tutto il resto della contesa: si è vista annullare un gol molto probabilmente buono, ha colpito due pali, ha completato la Remuntada segnando due reti, e si è vista negare la vittoria per un rigore non concesso da Rocchi per una stoppata di braccio dello sciagurato Caracciolo (sui due gol degli estensi il copyright è suo).

E il Verona? La solita fragilità di una squadra che sa fare tutto per benino e si fa apprezzare finché le cose scorrono su binari che le sono congeniali, ma che una volta messa alle corde, non esce più dall’angolo, vacilla sotto il peso del lavoro ai fianchi, e inevitabilmente va giù al tappeto senza opporre uno straccio di arcigna resistenza.  Lo sconcerto per il modo in cui ha scialacquato i tre punti al Mazza, nasce proprio da qui. Che le partite si vincano o si perdano fa parte del gioco, ma occorre anche capire come. Nella situazione in cui versa, l’ultima cosa che questa squadra può permettersi di concedersi, sono i cali di tensione. In questo senso gli ultimi dieci giri di lancetta di Ferrara lasciano a dir poco basiti. Il Verona ha praticamente smesso di giocare: doveva gestire il cospicuo vantaggio attraverso il possesso palla: non solo non lo ha fatto, ma ha finito per farsi schiacciare nella propria area da un avversario che via via ha ritrovato coraggio e fiducia. Dieci minuti sono bastati a perdere ogni sicurezza e rovinare quanto di buon fatto nei precedenti ottanta. Alla fine sono quelli che rimangono in memoria per come sono costati cari.

Sul banco degli imputati è salito, manco a dirlo, ancora una volta lui, Fabio Pecchia, accusato con i suoi cambi di aver stravolto l’assetto della squadra. Qualcosa di suo a dire il vero lo ha messo, ma non crediamo siano queste le ragioni del tracollo. Non essendo al 100%, la sostituzione di Kean era programmata, anche se una decina di minuti in più avrebbe secondo noi potuto farli. Il suo sostituto Valoti, sarà oggetto d’inchiesta su Chi l’ha Visto?. Cerci è uscito accompagnato dai sanitari; al suo posto Pazzini s’è battuto e ha fatto il suo. Rimane l’enigma Calvano, l’oggetto misterioso su cui il Verona ha deciso di puntare. E’ subentrato a Verde negli ultimi seicento secondi fatali, e per quanto ha inciso, come Valoti è già obiettivo di ricerche da parte degli inviati di Federica Sciarelli. Dei tre, questo è il cambio che meno ci ha convinti: primo perché ci pareva che Verde non fosse del tutto avvolto nell’acido lattico; secondo, perché se lo fosse stato, ci troveremmo di fronte al singolare e preoccupante caso di un ventunenne i cui consumi di benzina non sono tarati su novanta minuti; terzo, perché per personalità e caratteristiche avremmo visto molto più volentieri Franco Zuculini prenderne il posto.

Detto questo, la vittoria il Verona non l’ha buttata alle ortiche per sostituzioni opinabili, ma per la fragilità intrinseca al suo ego. Al primo scossone va in frantumi, manco fosse cristalleria di Boemia. Non è purtroppo la prima volta  (è un refrain che ripetiamo da tempo) ma, se vogliamo coltivare qualche speranza di farcela, deve essere anche l'ultima. Da qui a maggio, l’elmettto bisognerà tenerlo sempre ben fissato sul capo e la baionetta stringerla tra i denti; in trincea serviranno occhi vigili e vispi  anche quando è ora di fare le nanne. Mai visto infatti in tanti anni eserciti senza fanti votati al sacrificio conquistare salvezze. Ci auguriamo la lezione del Mazza sia chiara; tempo e spazio per altre non ce n'è più. Dopo l'anteprima di Coppa Italia a San Siro, domenica al pranzo prenatalizio del Bentegodi sarà illustre ospite il Milan. Quale miglior occasione per farsi perdonare le generose amnesie di Ferrara e confezionare un bel regalo alla propria gente. Se non a Natale, quando...?

Sezione: Editoriale / Data: Lun 11 dicembre 2017 alle 11:15
Autore: Lorenzo Fabiano
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