Nessuna sorpresa in un uovo pasquale che va in frantumi ancora prima di essere scartocciato. 34 secondi son bastati a Maurito Icardi per mandare a girarrosto i nostri timidi agnellini. Per l’Inter è stata la classica partitella del mercoledì traslata al sabato, poco più che un allenamento insomma. Tutto facile, tutto in discesa, se dopo nemmeno un quarto d’ora i prodi pedatori di Spalletti avevano già archiviato la pratica. Gli agnellini sono finiti sacrificati sul vassoio interista. Tradizione rispettata. Il Verona? Carmen Consoli potrebbe reinventarsi “Difesa di burro”, Riccardo Cocciante, “Brutta senz’anima”. Noi, abbiamo invece “Perso le parole” come il Ligabue di Radiofreccia.
Atalanta e Inter, ovvero un incubo in due puntate. Due degli otto gol presi da Nicolas negli ultimi 180 minuti sono arrivati al primo giro di lancetta. Film già visto in abbondanza quest’anno. Numeri alla mano, delle 59 reti subite dal Verona (peggio ha fatto solo il Benevento), 16 sono arrivate nella prima mezz’ora, 8 nel primo quarto d’ora. Partenze ad handicap, che non ci possiamo assolutamente permettere. Qualcosa non quadra se al momento di scendere in campo tra i denti, invece di stringere il coltello, la squadra si lecca il Chupa Chups. Chiaro che l’approccio non è quello giusto. Si provveda a porre fine allo scempio.
Il Verona, che sempre vorremmo vedere e che poco abbiamo in verità visto, si è fermato al derby col Chievo, più o meno come Cristo a Eboli. Poi l’eclissi. I cagnacci si son fatti micetti; i latrati feroci hanno lasciato spazio a teneri miagolii. Oddio, non che la partita a San Siro al cospetto di un Inter rigenerata e lanciata ai piani alti dai profumi d’Europa potesse far presupporre ad un risultato diverso; a una riunione condominiale era come mettere a confronto chi tira a campare nello scantinato con chi si gode le agiate bellezze dell’attico. Avremmo però voluto almeno veder battere i pugni sul tavolo, e invece abbiamo ingoiato il rospo in silenzio. Lo abbiamo ripetuto mille volte; con tutte le pecche che ha, questa squadra, ammesso che ne abbia, deve trovare dentro di sé la forza non solo di dare tutto, ma di provare ad andare anche oltre. La salvezza non è un obbligo, ma provare ad agguantarla sì.
Sia chiaro, retrocedere non è il peggiore dei misfatti: la gente del Verona, che sciocca non è e ne ha viste di tutti i colori, lo sa ma al tempo stesso pretende giustamente di vedere una squadra, che sia pur con tutte le sue lacune in campo vada sempre a combattere e lottare. Dar prova di orgoglio è l’unico dovere da qui alla fine. Poi sia pur quel che sia. Le nostre concorrenti (Spal su tutte) lo stanno facendo; noi, no. In soccorso ci viene la pochezza di un livello medio tendente decisamente al basso. Bene o male, più per demeriti altrui che meriti nostri, la distanza dal treno salvezza non è affatto incolmabile. Sembra incredibile, ma si può ancora fare. Mercoledì pomeriggio a Benevento inizia allora il nostro vero campionato. La sfida del Vigorito sarà la prima di nove partite, di cui sette da dentro-fuori tra scontri diretti e gare decisamente alla portata contro squadre che hanno poco o nulla più da chiedere. Ci giocheremo tutto lì, a patto di volerci provare veramente con un briciolo di convinzione. Chiediamo cuore, anima, e vertebre, non impalpabile e rassegnata sottomissione; tomahawk, non fazzoletti bianchi. In una parola, vorremmo vedere cenni di resilienza. Mica è la luna. Già, ma questa squadra ne è capace…?
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