Tanti auguri al calcio italiano. Ne ha bisogno la Nazionale di Roberto Mancini, che domenica ha dato i primi segnali di risveglio. Ne ha bisogno da lunedì la Figc di Gabriele Gravina, lacerata da un commissariamento che faide personali hanno trasformato in un Vietnam sanguinoso. Ne ha bisogno il Sistema, che di questo passo, ammonisce Aleksander Ceferin, «rischia di perdere la sfida con la modernità».
CAREZZE E SCHIAFFONI
L’intervento del presidente dell’Uefa, l’invitato più illustre alla festa si fa per dire per i 120 anni della Figc, è politicamente scorretto ci passi il termine , soprattutto in un luogo, l’austero Quirinale, dove al cospetto di Mattarella e del sottosegretario Giorgetti ci si attende una certa aderenza al protocollo. Ceferin ci colpisce con il bastone e ci ingolosisce con la carota. Prima ci accarezza: «In Italia il calcio è la più bella delle storie d’amore».
Poi arriva il primo manrovescio: «Mancare la qualificazione al Mondiale è stato un vero dramma nazionale». Ci lusinga (anche noi della Gazza): «Il calcio senza l’Italia è l’opera senza la Scala, il cinema senza Fellini, Romeo senza Giulietta, il Rinascimento senza Leonardo, la Gazzetta dello Sport senza il rosa...».
E ci mena: «Vi sta sfuggendo il cambiamento decisivo, vi servono stadi moderni: un impianto nuovo non è una spesa, ma un investimento redditizio. Lo ha capito prima di tutti il mio amico Andrea Agnelli». Blandisce Michele Uva, il suo fidato vicepresidente che la nuova Figc sta per mettere alla porta. «Non avete bisogno di eroi. Avete uomini di ingegno come il mio vicepresidente capaci di fare scelte coraggiose: ripartite da loro e ritroverete la leadership perduta».Uva gongola, i suoi nemici Gravina, Sibilia e Nicchi , seduti a poca distanza, si danno di gomito, sgomenti per modo e tempi dell’endorsement. Gabriele Gravina, tra pochi giorni nuovo presidente federale, all’uscita commenterà: «L’appello a investire in infrastrutture è ampiamente condivisibile, ma quanti sono i club che possono permetterselo? Prima dovremo pensare a risanare i debiti».
MONITI E SPERANZE
È una festa e insieme una lezione, questo pomeriggio al Quirinale. «La casa degli italiani, essere ospiti qui è il momento più alto dei festeggiamenti per i nostri 120 anni», dichiara il commissario Roberto Fabbricini, che il cortocircuito della giustizia sportiva ha già provveduto a bastonare. Davanti al Presidente sfila quel che resta dell’orgoglio azzurro, ancora tramortito, salvo che per il celebratissimo rilancio del movimento femminile, ben rappresentato dalla qualificazione mondiale di Gama e compagne, citato finanche da Mattarella, al pari del «vanto che i nostri arbitri rappresentano nel panorama internazionale».
Il discorso finale del capo dello Stato non è banale nè protocollare, tutt’altro. Anche in questo caso bisogna prendere appunti. «Il calcio ha grandi responsabilità, deve sapersi aggiornare. Giusto spingere su nuove infrastrutture e rilancio dei vivai. Attenzione - ammonisce Mattarella, rivolto ai rappresentati delle leghe che lo ascoltano, da Miccichè a Balata -: non siano solo ambiti per ricercare guadagni futuri, ma luoghi per far emergere i talenti e diffondere lo sport tra i ragazzi. Alle società dico: cercate sempre il punto di equilibrio tra interessi economici e interessi dello sport, non prevalgano i primi».
Non è finita, ai club il Presidente dice pure: «Mantenete un rapporto adeguato con le tifoserie, la passione non trascenda mai nell’ordine pubblico».
Moniti finiti, chiusura con grandi speranze. «Mi auguro che il mio successore nel 2022 possa avere la stessa opportunità che ebbero Pertini e Napolitano». Lui deve contentarsi della pallavolo femminile. «Stanno giocando un Mondiale straordinario». Malagò applaude, i calciofili provano un po’ di invidia
Autore: Ilaria Lauria
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