Il suo calcio è semplicità. La stessa che ha permesso a Nevio Scala di portare il Parma in cima all’Europa da allenatore e poi rifondarlo partendo dalla Serie D questa volta però nel ruolo di presidente. La stessa che ogni giorno lo fa salire su un trattore a coltivare la sua amata terra e a produrre vino di qualità.
Dalle vette del calcio all’azienda di Lozzo Atestino, ai piedi dei Colli Euganei, con il tempo di analizzare anche la stagione dei gialloblù.
«Ho visto il Verona lottare, fare delle cose buone ed altre meno buone. Pecchia avrà dato il suo meglio, ma non aveva probabilmente una rosa abbastanza competitiva», la prima lettura di Scala, anche lui applauditissimo nella serata di Villafranca coi compagni di viaggio Darwin, Pastorin, e Piero Gros.
Usa anche il suo Parma, quello più romantico, per raccontare la Serie A che lui ha vissuto da ogni angolo.
«Non è poi così difficile restarci per tanto tempo», la sintesi dell’ex tecnico dei biancoscudati, «è chiaro che le meno forti rischiano di più ma è anche successo che tante fra quelle in teoria senza troppi mezzi abbiano ottenuto persino qualificazioni alle coppe europee.
Il mio Parma all’inizio sembrava destinato a fare poca strada e a retrocedere. Invece abbiamo costruito, lavorato e raccolto quanto seminato, anche grazie a quel pizzico di fortuna che serve come in tutte le cose che fai nella vita».
Anche rassicurante Scala quando si scende sul terreno della B, spesso accidentato ma poi neanche troppo a sentir lui.
«È sempre un campionato molto difficile ed equilibrato, dove di anno in anno qualche società esplode ma dove non sono necessari poi così tanti soldi per riuscire ad emergere. E Verona in Serie B non ci può stare. Il Parma», racconta Scala, «è riuscito a tornare nei professionisti ricominciando addirittura dalla Serie D, con zero calciatori e pochissimi interventi economici. E il teorema può valere anche per il Verona ed un eventuale suo ritorno nel massimo campionato. Quando si retrocede ripartire, in fondo, è piuttosto semplice».
Dalla ricetta di Scala restano fuori stelle e disegni roboanti. «La squadra va prima di tutto costruita con saggezza», premette l’ex presidente del club emiliano, «i grandi nomi non servono a niente, bisogna cercare gente che abbia davvero voglia di giocare a calcio e di mettersi in discussione. Fondamentale è la qualità dei calciatori, così come il connubio necessariamente forte fra il direttore sportivo e l’allenatore. Condizione necessaria. Tutte le componenti devono andare al proprio posto ed incastrarsi alla perfezione. Il calcio non è complicato, ma certi passaggi sono basilari. Altrimenti diventa dura arrivare alla meta. Vale per tutti. E se l’allenatore sarà bravo a tirar fuori il caviale anche dalle rape allora il Verona sarà a cavallo. Il resto viene di conseguenza.
Bisogna intanto prendere gli uomini giusti, metterli al posto giusto e dichiarare il proprio programma perché ovviamente le questioni economiche non sono secondarie. In base a quelle la dirigenza deve far capire alla sua gente fin dove può arrivare. Non basta vincere i campionati per avere dalla propria parte i tifosi, serve prima di tutto tanta chiarezza. Senza fare promesse che poi non si possono mantenere».
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